L’arte del racconto è sublime: con poche pennellate verbali, viene narrata una vicenda e descritto l’intimo dei personaggi, viene racchiuso un intero universo. In poche pagine si condensano fatti ed emozioni, pensieri e sentimenti. Difficilissimo mantenere il giusto equilibrio tra gli uni e gli altri. Non basta il dono della sintesi. E’ necessario che alla brevità si unisca la capacità di scrivere, altrimenti ci ritroveremmo di fronte a meri sunti di libri mai nati.
Scopriamo insieme, dunque, quest’arte ingiustamente desueta, attraverso una lettura critica di alcuni tra i più significativi racconti del Novecento italiano, in una retrospettiva dedicata ogni mese ad un diverso autore.
Lo spazio è tiranno, però. E’ mio compito indagare in poche righe l’essenza dell’opera, offrendo la mia chiave di lettura, nella speranza di stimolare molte altre interpretazioni e molti altri approfondimenti.
Mario Soldati: La fotografia
La fotografia, un altro racconto di Soldati inserito in Storie di spettri, evoca sempre spettri del passato, ma inseriti in un contesto diverso da Un paese in O: qui il ricordo che riaffiora è temporalmente vicino, concreto; lì si perde nelle nebbie della rievocazione giovanile, con annesso il rischio di accrescimenti o modifiche mnesiche di stampo felliniano.
L’incipit contiene un lirismo tipicamente crepuscolare: è col vento che certi spettri arrivano; un vento che attraversa Roma in una notte d’inverno, anche se, a mio parere, la storia si dipana interamente nell’inconscio, in una dimensione onirica, forse, che potrebbe aprirsi ad azioni inconsapevoli. Il vento è il primo spettro che si incontra: un’umbratile presenza che nasce e muore dentro il protagonista.
L’avvocato Enrico Piolti viene svegliato nel cuore della notte da quei tipici rumori generati dal vento, dagli spifferi che, incontrandosi, fanno tremolare le porte, scricchiolare gli armadi.
Mario Soldati traspare subito nell’incedere della sua prosa, nel tratto figurativo con cui riesce ad inquadrare non solo il paesaggio, l’ambiente, la scena, ma anche l’essere umano che ne fa parte.
I pensieri dell’insonne, come sempre accade, prendono il posto della stanchezza e gli impediscono di tornare a dormire. Non sono pensieri da poco: è sull’orlo della povertà e non sa come fronteggiare le prossime spese. La moglie, che dorme e continuerà a dormire serenamente per tutto il racconto, come se il vento non battesse ai vetri e non si fosse insinuato in casa, è un’estranea, il secondo fantasma. Estranea alla storia, pur entrandovi attraverso le paure, i dubbi, le ossessioni del Piolti; estranea nella vita del marito, inconsapevole della crisi economica che lo preoccupa, o, forse, solo incurante di essa pur di continuare a fare la bella, costosissima vita di sempre.
La prosa di Soldati, che si colloca tra lo studio della letteratura tardo-ottocentesca ed il realismo, sempre combinato con l’inventiva, assume spesso un ritmo incalzante, quasi nevrotico, se non nelle azioni, sicuramente nelle emozioni. Ebbene, la nottata di Piolti sembra immobile, silenziosa ed, invece, in lui si agitano, tumultuosi, pensieri d’ogni genere; pensieri che nascono dall’inconsistente legame matrimoniale per giungere ad un’indagine su ben altri fallimenti.
La crisi della coppia è uno dei temi cari a Soldati: l’idillio che si trasforma in incubo, le certezze che si trasformano in disillusione. Il suo mondo interiore è caotico almeno quanto è sicuro e granitico quello esteriore. Soldati ama le donne, ma le teme; teme la fine dell’idillio. Nel libro compare una dedica a Graham Greene, che aveva letto, ammirato e conosciuto nel suo soggiorno universitario a New York: “ … nella nostra comune preferenza per creature di carne ed ossa”. Ci si è a lungo chiesti se si riferisse alla predilezione per le conquiste amorose che costellavano l’esistenza dei due scrittori, o se la carne e le ossa fossero incorporate nella carta. Nei personaggi di Soldati, infatti, si coglie una forte carnalità; soprattutto in quelli femminili. Una carnalità che, tuttavia, resta distante da quella, pur egualmente forte, dei neorealisti. La confezione letteraria gli impedisce di rendere troppi vivi i suoi personaggi; la sua educazione cattolica gli impedisce di strappare del tutto il velo del rapporto di coppia, scoprendo il disfacimento definitivo. E’ quanto accade al protagonista.
La solitudine interiore, accompagnata dalla notte, conduce i pensieri di Piolti verso un’altra donna. La ricorda in quel loro ultimo incontro a Firenze, di cui non resta che una foto, scattata al ristorante. Non avrebbe voluto che venisse scattata ed il giorno dopo, quando gli venne recapitata in albergo, la tagliò in due, gettando la parte che ritraeva la donna. In questo modo avrebbe potuto serbare l’immagine che lo legava a quel ricordo senza rischiare che la moglie si insospettisse, nel caso l’avesse vista. Terzo spettro: la donna amata, tagliata via da quella foto e pur legata ad essa come se fosse ancora lì, come se Piolti, in quella metà che ha gettato via, potesse continuare a vederla. Così è: vi scova spesso il suo sorriso, vi ritrova i colori del vestito che indossava, torna a provare la felicità che lo univa a lei. E’ ormai un suo segreto gioco: quando prova nostalgia, o, forse, solo solitudine, tira fuori quella foto dal cassetto della scrivania in cui l’ha seppellita, e la guarda a lungo, viaggiando con la mente. Lo fa anche in quella notte di vento, ma non la trova.
Gli spettri si moltiplicano. Sono i dubbi, le paure a crearne tanti: l’ha trovata la segretaria, l’ha presa la moglie, è diventata strumento di un futuro ricatto, di un futuro litigio …?
Preoccupato, torna a letto e la trova, inspiegabilmente, tra i due giornali sul suo comodino. Che sia diventato sonnambulo? Ancora uno spettro della mente.
Forse, gli capita di pensare, c’è una ragione che sostiene questo inspiegabile episodio: il tracollo finanziario che lo tiene sveglio è in qualche modo legato a quella foto. Fu poco dopo averla ricevuta e debitamente mutilata, che alla reception dell’hotel trovò il telegramma che annunciava il fallimento della società nella quale aveva investito tutti i suoi averi. Con la foto, dunque, era giunto l’inizio della crisi economica che ancora lo attanagliava; l’inizio della fine. Si convince che porti sfortuna e decide di distruggerla, non prima, però, d’averle dato un ultimo malinconico sguardo.
“A pensarci bene, chissà poi, veramente, come stavano le cose. E se la sfortuna non fosse venuta dall’aver conservato la fotografia; ma al contrario, dall’aver distrutto l’immagine della sola donna che amava e che lo amasse?” scrive Soldati.
Il dubbio, uno degli spettri più potenti.
Il vento, infine, cessa. La mattina si affaccia, nel racconto, insieme alla convinzione di Piolti di udire rumore di pioggia. Forse sono solo lacrime che bagnano la sua anima dopo la tempesta emotiva.
di Raffaella Bonsignori
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