L’arte del racconto è sublime: con poche pennellate verbali, viene narrata una vicenda e descritto l’intimo dei personaggi, viene racchiuso un intero universo. In poche pagine si condensano fatti ed emozioni, pensieri e sentimenti. Difficilissimo mantenere il giusto equilibrio tra gli uni e gli altri. Non basta il dono della sintesi. E’ necessario che alla brevità si unisca la capacità di scrivere, altrimenti ci ritroveremmo di fronte a meri sunti di libri mai nati.
Scopriamo insieme, dunque, quest’arte ingiustamente desueta, attraverso una lettura critica di alcuni tra i più significativi racconti del Novecento italiano, in una retrospettiva dedicata ogni mese ad un diverso autore.
Lo spazio è tiranno, però. E’ mio compito indagare in poche righe l’essenza dell’opera, offrendo la mia chiave di lettura, nella speranza di stimolare molte altre interpretazioni e molti altri approfondimenti.
Mario Soldati: Un paese in O
Mario Soldati si è dedicato spesso a scrivere racconti. Sarà perché aveva una sanissima passione per l’arte cinematografica e televisiva – arte di sintesi attraverso le immagini – che, spesso, trova similitudini nel racconto – arte di sintesi attraverso le parole -; sarà perché i suoi studi americani, nel triennio 1929-31, avevano guidato la sua vena artistica verso uno stile più asciutto ed egualmente descrittivo, verso una prosa più snella di quella che abbracciava l’Italia a lui contemporanea; sarà perché la sua cultura gesuitica, contrapposta alle esperienze di viaggio in Italia ed all’estero, lo avevano collocato a metà tra la cultura tradizionale, oscillante tra tardo romanticismo e crepuscolarismo, entrambi assorbiti nella sua Torino natia e nella Toscana del nonno materno, anch’esso scrittore, e la cultura “nuova”, pregna di istanze giovani, sebbene, per quanto lo riguarda, mai integrata con il neorealismo del dopoguerra. La struttura degli scritti di Soldati resta sempre frutto d’invenzione, infatti, seppur seguita con l’occhio del regista e del saggista, oltre che dello scrittore.
Un paese in O è tratto da una raccolta molto originale, Storie di spettri.
Gli spettri di Soldati sono molti. Alcuni assomigliano a vere figure umbratili appartenenti al regno dei morti, altri sono, invece, null’altro che frutti del ricordo, del passato, del pensiero, delle ossessioni personali. In questo senso ognuno ha i propri spettri e non sono pochi.
Il racconto presenta lo spaccato di una vita familiare in crisi. L’unica consolazione di un marito annoiato e sottomesso è il pensiero che sua moglie, ormai a lui estranea ed indurita dalla vita, gli sia sempre stata fedele; un pensiero che si rivela illusorio alle prime righe e che rappresenta il punto di frattura del suo delicato equilibrio sentimentale, la chiave per aprire una porta nel Tempo. Nel ripensare al suo passato amoroso, quasi quel solo pensiero possa vendicarlo per il tradimento subito, emerge un nome, Novella, il primo spettro che incontriamo, un’innamorata perduta ai tempi della guerra, quando lui era stanziato a Napoli e lei viveva a Milano. Nel 1945, al termine del conflitto, si era recato a cercarla, ma all’indirizzo che aveva c’erano solo macerie e nessuno sapeva se fosse viva o dove fosse. Anni dopo, quando si era già sposato, aveva incontrato un’amica comune alla quale aveva chiesto notizie di Novella: anche lei si era sposata e gestiva con il marito una salumeria in un paesino lombardo. Tuttavia, l’emozione o, forse, la paura di ritrovarla davvero un giorno o l’altro, gli avevano fatto presto dimenticare il nome di quel paesino. Iniziava per O; solo questo rammentava.
Spesso, nelle opere di Soldati, si leggono due storie in una: da un lato il desiderio e, dall’altro, la fuga, la paura della realizzazione. E’ come entrare contemporaneamente in due dimensioni parallele: prima siamo dentro il desiderio, dal quale la realtà appare in un certo modo; poi siamo nella realtà, caratterizzata dal rifiuto o dal fallimento del desiderio. La prospettiva degli eventi, è ovvio, muta radicalmente.
Ebbene, ripescando quel ricordo nei suoi giorni tristi di marito tradito, decide di andare a cercare quel suo primo, lontanissimo amore. E’ convinto che, studiando la cartina, il nome dimenticato di quel paesino possa riaffiorare, ma la Lombardia sembra piena di paesi in O! Opta per Offanengo. Sì, gli sembra proprio quello il nome.
Un viaggio di lavoro a Milano è l’occasione perfetta, dunque, per affittare una macchina e recarsi in quel luogo estraneo che, tuttavia, Novella, con la sua sola presenza, potrebbe rendere familiare, conosciuto pur nei suoi ignoti percorsi, unico. Ed ecco il secondo spettro della storia. Non più il ricordo, ma l’immaginazione. Da una parte il senso di colpa per aver deciso di irrompere nella vita di Novella dopo tanti anni, una vita fatta di famiglia, di un marito e forse di figli; dall’altra la ricostruzione di eventi che non conosce, di somiglianze che ritrova, di pensieri che si accavallano per dare spiegazioni a situazioni estranee. Cerca la salumeria. Ce ne sono sette in quel piccolo paese. Un paese deserto, terzo spettro della storia: “Era completamente vuoto, forse per il freddo. Sui muri, sull’acciottolato, sulle guide di pietra, sui paracarri delle cantonate, sulle scritte delle botteghe, su tutto, pareva steso un velo di gelo e di polvere, di una polvere dura ed inamovibile”.
Nessuna di quelle botteghe sembra ricca e luminosa come si aspettava. L’amica comune gli aveva detto che il marito di Novella era un uomo ricco. Com’era possibile che vivessero lì, che avessero una bottega ‘sì misera? Sceglie la meno peggio, che, comunque, non è certo uno splendore: sin dall’ingresso lo aggredisce un senso di squallore. Deve farsi forza per entrare. Nessuno ad accoglierlo. Quarto spettro: il negozio.
Finalmente lo raggiunge una bambina di dodici anni. Vorrebbe chiederle di una certa Novella, ma desiste; acquista qualcosa ed esce di lì. Sarà stata la figlia? Cerca somiglianze, crea con l’immaginazione.
Tuttavia, ben presto, decide di non approfondire e di rimettersi sulla strada per Roma; di fuggire, forse. Ed ecco il quinto ed ultimo spettro della storia: l’assenza di certezza, la nebulosa in cui dovrà chiudere per sempre quell’amore di gioventù, il rimpianto che continuerà a restargli dentro per la vita, soprattutto quando scoprirà di non averla neppure sfiorata, la sua Novella, perché il paese non era Offanengo, ma un altro paese, uno dei tanti in O.
di Raffaella Bonsignori
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