Viaggio nella globalizzazione. Un processo inarrestabile ma non esente da distorsioni

Da dove proveniva lo stagno indispensabile per forgiare armi ed utensili nell’età del bronzo? Da tre luoghi soltanto: i monti dell’attuale Repubblica Ceca, quelli del Tauro (Turchia meridionale) e, soprattutto, l’Afghanistan, per il 70-80% del totale. Già in quella particolare epoca della preistoria, il commercio mondiale della materia prima più importante per l’uomo era globalizzato.

Forme di globalizzazione del commercio le troviamo anche in età ellenistica, con l’apertura della Via della seta (XIAN, Cina-Alessandria d’Egitto) e in epoca romana imperiale, se è vero che le antiche monete romane si rinvengono ancora nelle spiagge del Kerala (India) e in quelle del Mar Cinese meridionale.

Con le grandi scoperte geografiche, il mondo assiste a giganteschi spostamenti di persone e prodotti. Si ha l’europeizzazione delle Americhe e l’importazione di merci sino ad allora sconosciute, come il pomodoro, la melanzana e la patata. Tali prodotti saranno poi coltivati localmente, in Europa, contribuendo a sconfiggere la fame dei ceti più poveri.

Dopo la Prima guerra mondiale, la globalizzazione assume le forme attuali di strumento del capitalismo: le imprese petrolifere americane e anglo-olandesi (sette sorelle) si accordano con i despoti del Golfo Persico per estrarre il petrolio che poi raffineranno nei loro paesi e distribuiranno in tutto il mondo. Da allora, il mondo deve il proprio approvvigionamento energetico industriale e non, il riscaldamento nelle case e la mobilità privata (auto e moto) a questo fenomeno.

Capitalismo e globalizzazione del commercio

Esaminiamo meglio uno dei “corni” del fenomeno globalizzazione: la liberalizzazione del commercio (l’altro “corno” è la libera circolazione dei lavoratori). Il concetto che il libero commercio sia la base della ricchezza dei popoli, lo ha formulato il fondatore della scienza economica, Adam Smith e lo ha dimostrato matematicamente.

Da allora (era il XVIII secolo!), gli economisti che si sono succeduti hanno saputo individuare una sola seria eccezione a tale principio: la protezione delle industrie nascenti. Il libero commercio – hanno detto – anche se “globalmente” accresce la produzione e la ricchezza, favorisce l’imprenditoria già dimensionata e sul mercato, mentre impedirebbe lo sviluppo e lo “start-up” di chi vi si vuole inserire.

Andando a stringere, la Comunità Europea, creata con i Trattati di Roma, si basava sulla libertà dei commerci e la libera circolazione dei lavoratori al suo interno; ma era protezionista al di fuori di essa, con un occhio attento alle reazioni uguali e contrarie da parte dei paesi terzi. In tal modo, l’Europa è riuscita a risorgere dalle rovine del più terribile conflitto bellico mondiale.

Una volta risorta l’economia continentale e rafforzatesi le industrie europee, la UE ha sposato il concetto molto “global” di abolizione delle barriere doganali su scala mondiale. Poi, però, ha commesso un errore (economico e non politico): ammettere nell’Unione tutti gli Stati già facenti parte del blocco comunista. In tali Stati, sino a poco tempo prima privi di industria privata, il nuovo liberismo economico ha travolto le industrie nascenti, nonostante i contributi degli stati più ricchi dell’Unione. E’ proprio in tali Stati (e nella ex Germania Est) che si è formata l’ideologia sovranista che sta mettendo in crisi l’idea euro-unitaria.

Globalizzazione e liberalizzazione delle frontiere

L’altro “corno” del fenomeno è rappresentato dalla liberalizzazione globale della circolazione dei  lavoratori. Anche questo fenomeno non nasce oggi. Tralasciando anche in questo caso situazioni simili nell’Impero romano, non si può tacere che lo sviluppo economico delle Americhe lo si dovette al trasferimento di decine se non centinaia di milioni di schiavi-lavoratori dall’Africa al Nuovo continente. Terminato il fenomeno dello schiavismo, gli Stati Uniti si sono riempiti di immigrati italiani, irlandesi, tedeschi, asiatici e latino-americani che sono stati decisivi per l’edificazione dell’impero economico statunitense.

Sotto questo aspetto, sarebbe da struzzi negare che l’Italia, per la sua posizione geografica, è stata da sempre terra d’ingresso e di stabilizzazione di popoli, sia d’oltralpe che dal di là del Mediterraneo. Nel nostro DNA ci sono le tracce degli invasori (o presunti tali) greci, fenici, etrusco-orientali, galli, goti, longobardi, saraceni, franco-angioini, aragonesi e austriaci. I discendenti di quegli “invasori” siamo noi: così è nata l’Italia.

Anche nel caso della libera circolazione dei lavoratori avviene un fenomeno simile a quello della liberalizzazione dei commerci: la ricchezza “globale” aumenta per tutti ma chi non ha lavoro, troverà ancor più difficoltà a trovarlo, perché esposto alla concorrenza del lavoro immigrato. Detto ciò, il fenomeno dello spostamento della forza lavoro dai paesi dove non c’è né lavoro né ricchezza in quelli dove invece tali condizioni ci sono e sono incrementabili è un fenomeno antico come il mondo, perciò ineluttabile. E’ giunto quindi il momento di trarre delle conclusioni.

Conclusioni

La globalizzazione crea ricchezza. Questa è la regola generale. Per quanto riguarda, invece, i problemi attuali, a parere del cronista, il fenomeno ha creato alcune distorsioni che i governanti italiani ed europei debbono prima o poi ripianare. A livello europeo, va superata l’ostilità dei paesi dell’est (Patto di Visegrad) nei confronti della (pre)potenza industriale dei paesi fondatori dell’Unione. E’ un problema non semplice da risolvere ma va fatto, se non si vuole che l’idea sovranista continui a propagarsi e ad avvelenare il progetto euro-unitario.

In Italia, in Spagna e in Grecia, paesi maggiormente esposti al fenomeno migratorio, bisogna trovare accorgimenti perché l’importazione di forza lavoro (comunque indispensabile) non crei disoccupazione tra le categorie più deboli e giovanili. In primis, è ineludibile combattere senza quartiere ogni forma di lavoro nero e non soltanto per motivi di giustizia sociale. Il lavoro nero, infatti, è un fattore concorrenziale che favorisce chi lo presta ed esclude dal mercato del lavoro chi ha necessità di inserirvisi rispettando le regole.

Nei paesi maggiormente industrializzati (Germania, Italia, Olanda), la liberalizzazione sempre più estesa dei commerci non può che portare un incremento di ricchezza. Non a caso tali paesi stanno espandendo le loro esportazioni con il conseguente aumento degli introiti dall’estero. E non a caso, la Gran Bretagna sta tentando di riparare all’errore della brexit tentando di mantenere qualche forma di unione doganale con gli ex partners. Se poi vogliono proseguire nel tentativo di suicidio della loro economia e moneta, peggio per loro.

Fonte foto: studiarapido.it

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