E’ in scena al teatro Olimpico di Roma, fino al 14 ottobre, Leonardo, una magnifica lectio magistralis di Vittorio Sgarbi sul più grande genio del Rinascimento.
Nell’ottimo allestimento scenico di Tommaso Arosio c’è tutta la dialettica contemporanea tesa all’essenzialità, ad un minimalismo geometrico ottenuto attraverso strutture esili e lineari, assolutamente perfette nell’incorniciare l’opulenza pittorica e visiva delle opere di Leonardo, proiettate sullo schermo centrale.
Sgarbi supera agilmente, senza mai annoiare, senza mai stancare, senza mai perdere l’attenzione del pubblico, le tre ore di palcoscenico. Nessuna interruzione, se non per i piacevoli interludi musicali del bravissimo maestro Valentino Corvino eseguiti mentre il grande schermo centrale restituisce al pubblico geometrie danzanti; poliedri che potrebbero anche far viaggiare nel tempo artistico fino al Novecento, fino alle litografie di Escher, l’artista delle false prospettive; solidi dalle facce cangianti, volti, forse, a rappresentare l’essenza della tridimensionalità, della “scienza pittorica”, che sottende l’arte di Leonardo. In qualche modo quelle geometrie parlano di lui. Leonardo, infatti, ha rovesciato i punti fermi del suo e del nostro mondo attraverso una pittura in cui la prospettiva pittorica, introdotta dal Brunelleschi, assume tratti affatto personali, originali, e i colori oleosi dei grandi maestri del nord Europa vanno ad affiancare la tempera.
Con la pittura ad olio, Leonardo arricchisce di luce le sue figure; dona loro quella corposità che le rende assolutamente vivide, pregne di sfumature caratteriali. Con la sua arte, però, va ben oltre la tecnica pittorica e dona vita autonoma alle figure che dipinge, elargisce loro un fondo di pensieri, di cuore. Ogni suo personaggio ha una precisa gestualità, ha ben definite caratteristiche emotive, tratti psicologici che ci fanno conoscere il “pensiero dell’immagine”, ci fanno ascoltare le sue parole.
Attraverso la lettura di alcuni brani delle Vite del Vasari, Sgarbi ci fa entrare nel significato più profondo dell’ispirazione di Leonardo, della sua fase ideativa, che implica l’avvicinamento dell’uomo a Dio, o, meglio, la sovrapposizione dell’uno all’altro. Dio è nell’artista. Leonardo, dunque, è Dio dentro.
Durante lo spettacolo, l’arte di Leonardo viene esplorata con gioiosa accuratezza in ogni suo aspetto peculiare, a cominciare dai primi esperimenti pittorici presso la bottega del Verrocchio, fino al suo autoritratto senile, conservato, oggi, nella Biblioteca Reale di Torino, un autoritratto in cui ho sempre trovato molti caratteri fisici comuni all’Uomo della Sindone, quasi il sacro drappo stia a testimoniare quella divinità che ha sempre albergato in Leonardo, alito d’arte.
L’excursus dialettico di Sgarbi è davvero notevole. Attraversa le opere, ma anche la storia; traccia interessantissimi paralleli con altre forme d’arte, in particolare la fotografia; rende visibile l’invisibile racchiuso nelle opere proiettate al centro del palcoscenico. Il pubblico, accompagnato dalle sue parole, vede la Vergine delle Rocce nei suoi particolari, quelli che all’occhio esperto forniscono gli elementi caratterizzanti della pittura leonardesca; comprende l’estrema originalità della posa della Dama con l’Ermellino; indaga l’enigmatico sorriso della Gioconda, donna ammaliatrice; viaggia nelle emozioni che animano il Cenacolo. Il deterioramento dell’affresco di Santa Maria delle Grazie, purtroppo, toglie ai nostri occhi molto della pittura di Leonardo, nonostante il restauro. È un deterioramento iniziato prestissimo; già nel 1517, Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, ne osserva il principio. Probabilmente il fenomeno si deve ad un insieme di concause: in parte alle caratteristiche del muro, adiacente alle cucine, in parte, una gran parte, alla scelta di Leonardo di usare olio e tempera su fondo gessoso, una tecnica pittorica inadatta all’affresco, che, tuttavia, gli ha consentito di ottenere su muro la stessa espressività, lo stesso dinamismo dei volti che caratterizzano la sua pittura su tela e su tavola.
C’è tanta pittura, tanta storia, tanta passione, nelle parole di Sgarbi. Emerge un Leonardo nostro amico. Lo incontriamo sul palco, lo avviciniamo, comprendiamo il suo mondo intenzionale. Riusciamo finalmente a cogliere quella sua magnifica ansia di conoscenza che lo spinge verso l’incompiutezza; l’incompiutezza perfetta del San Girolamo, conservato oggi nella Pinacoteca Vaticana, in cui mirabilmente si mischiano olio e tempera; o, ancora, l’incompiutezza dell’Adorazione dei Magi, serbata agli Uffizi. La realizzazione dell’opera spetta alla mano ed è quasi pura meccanica rispetto all’occhio, alla passione, all’arte, afferma Sgarbi. Quei soggetti sono completi nell’immagine catturata dall’artista prima della realizzazione pittorica ed è quanto basta. Leonardo, in qualche modo, anticipa l’incompiuto michelangiolesco.
Sgarbi è un fantastico affabulatore. Parla di arte e sa molto bene quel che dice; soprattutto, ama dirlo. Il pubblico percepisce queste amore e ricambia. Ho assistito a un’osmosi quasi passionale tra Sgarbi e tutti noi.
L’arte è sempre stata studiata poco, a scuola, ora quasi per niente, denuncia Sgarbi. Ha ragione. È una follia la limitazione che subisce, poiché è il vero linguaggio universale, decisamente più della letteratura, prosegue a dire. Sotto questo profilo, ritengo d’essere una privilegiata. Ho sempre mangiato pane e arte, in famiglia, e appartengo a una generazione che, al liceo classico, ha studiato con accuratezza e approfondimento la storia dell’arte, forse anche grazie a una scuola particolarmente illuminata. Di sicuro, conversazioni teatrali come questa sono un bel nutrimento, sia per chi conosce la storia dell’arte, sia per chi non ha avuto questa fortuna. Al teatro Olimpico, in questi giorni, c’è qualcosa in più dello spettacolo, qualcosa in più di una lectio raffinata, c’è un pizzico di magia. Apriamo il nostro animo a questa magia e potremo accedere a una ricchezza che nessuna moneta saprà mai eguagliare.
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