Viviamo con la consapevolezza che la nostra esistenza sia lo specchio di quella del nostro Gesù

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Nella pagina evangelica di questa quinta Domenica di Quaresima l’evangelista Giovanni narra un episodio accaduto nell’immediato compimento della Pasqua ebraica.

Mentre Gesù era a Gerusalemme, infatti, alcuni greci, incuriositi ed attratti dal suo fascino, si avvicinarono all’apostolo Filippo per chiedergli di poter vedere Gesù. Filippo, quindi, chiamò Andrea e insieme si recarono dal Maestro per comunicarGli la richiesta (Gv 12,20-21). Nella domanda formulata dai greci si scorge la gran sete di Dio che è viva nel cuore di ogni uomo.

La risposta di Gesù è piena di mistero: “È venuta l’ora – dice – che il Figlio dell’uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Infatti, si avvicina sempre più l’ora della sua glorificazione che si compirà attraverso la Passione e la Morte in croce. Si realizza così la salvezza per tutta l’umanità, si compie la riunione dell’unico popolo di Dio e si stipula tra Dio e l’uomo la nuova e definitiva Alleanza (cfr Ger 31,31): “E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

L’uomo e la missione terrena di Gesù trovano il loro punto di congiunzione in un’immagine molto eloquente che è il Signore stesso ad illustrare ai discepoli: “Se il chicco di grano caduto in terra, non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Gesù paragona la sua Persona ad un chicco di grano piantato nella profondità della terra, la cui macerazione porterà presto abbondante frutto per tutti. Non bastava, infatti, che Gesù si incarnasse per portare a compimento il piano di Dio.

Era necessario, inoltre, che Egli venisse ucciso per rimanere sepolto nella terra come quel chicco e, quindi, risorgere. La sua morte e risurrezione sono l’espressione del trionfo della nostra vita e la dimostrazione concreta che l’amore è sempre più forte della morte. Tuttavia, Gesù in tutta la sua umanità, avvertiva tremendamente il peso della tragica fine che lo attendeva. Proprio perchè Uomo-Dio, sperimentava sempre più il disagio del peccato dell’uomo che

Egli avrebbe prima assunto sulla croce e, quindi, consumato nel fuoco del suo amore. “Adesso – dice – l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?” (Gv12,27). Affiora la tentazione di sfuggire alla croce e, come accadrà nel Getsemani, Egli sperimenta in prima persona il dramma della solitudine e della paura, ecco perché chiederà a Dio di allontanare da Lui il calice della passione. Nel frattempo, però, non viene meno la sua fiducia di Figlio prediletto e prega: “Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12,28), cioè: “Accetto la croce attraverso la quale sarà glorificato il tuo nome”. Egli trasforma la sua volontà, identificandola con quella di Dio. Questa dovrebbe essere l’aspirazione di ogni nostra preghiera: “nella tua volontà, Signore, è la nostra pace”. Gli stessi sentimenti compaiono nella seconda lettura: a causa della sua morte, Gesù prega “con forti grida e lacrime” (Eb 5,7), invocando Dio perché possa liberarLo e nel frattempo abbandonandosi nelle Sue mani. E proprio per questa sua fiducia – nota l’autore della Lettera – Egli fu esaudito con la risurrezione. Carissimi, questo è il cammino della croce, la via che il Maestro indica ai discepoli di ogni storia e di ogni epoca. Non ci sono alternative per i cristiani che vogliono realizzare autenticamente la propria vocazione.

La sequela di Cristo si realizza attraverso la “legge della Croce” descritta con l’immagine del chicco di grano che muore per far nascere nuovi germogli; il cristiano non può sottrarsi alla “logica della Croce” richiamata anche nel Vangelo di oggi: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv12,25). “Odiare la propria vita in questo mondo” è una espressione molto forte e paradossale; tuttavia essa sottolinea bene la radicalità richiesta da Gesù ai suoi discepoli. Essa deve contraddistinguere i discepoli di Cristo e, quindi, tutti coloro che si pongono, per suo amore, al servizio del prossimo: chi perde la sua vita per amore, con Gesù la ritrova! Non esiste altra via per rendere fecondo l’amore dell’uomo e questa via è quella del darsi, dell’offrirsi e del perdersi per trovarsi.

Cari amici, come quei greci menzionati nel Vangelo di oggi, anche noi desideriamo vedere il Volto di Gesù, lo stesso viso che a breve contempleremo sfregiato a causa dei nostri peccati ma che adoreremo luminoso e sfolgorante nel giorno di Pasqua. Manteniamo fisso il nostro sguardo sul Volto di Gesù e lasciamoci illuminare dallo splendore della sua luce: solo così la chiesa camminerà unita, compatta, accomunata dal gravoso impegno di annunciare e testimoniare il Vangelo laddove il Signore chiama ad operare. L’amore infinito di Cristo, infine, risplenda nei nostri atteggiamenti e diventi la costante della nostra quotidianità. Ce lo insegna S. Agostino: “Cristo ha patito; moriamo al peccato.

Cristo è risuscitato; viviamo per Dio. Cristo è passato da questo mondo al Padre; non si attacchi qui il nostro cuore, ma lo segua nelle cose di lassù. Il nostro capo fu appeso sul legno; crocifiggiamo la concupiscenza della carne. Giacque nel sepolcro; sepolti con Lui dimentichiamo le cose passate. Siede in cielo; trasferiamo i nostri desideri alle cose supreme” (S. Agostino, Discorso 229/D,1). Animati da una tale consapevolezza invochiamo Maria perché accadde per Lei, la nostra esistenza sia lo specchio e il riflesso di quella di Cristo. Amen.

Frà Frisina

foto: obermoserhof.it

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