Wakashū: il “terzo genere” sessuale giapponese 

Wakashū

Durante il periodo Edo (1603-1867) in Giappone esisteva una terza figura di genere sessuale, che superava la dicotomia uomo/donna: il wakashū

Origine del termine wakashū

Composto da due ideogrammi waka 若 (giovane) e shū 衆 (persona), il termine indicava un individuo di età compresa tra i 7 e i 18 anni. Praticamente ogni maschio giapponese rientrava nella categoria. La stessa veniva poi superata con il genpuku, una cerimonia che segnava l’ingresso all’età adulta.

Perché si parla di terzo genere?

Il wakashū era considerato un “terzo genere”, quello che oggi potremmo definire “fluido”. Essendo oggetto di desiderio per uomini e donne, il giovane si concedeva a tutti. Con i maschi era passivo, con le femmine attivo. Non era invece tollerata l’unione fra due wakashū.

Al limite con la pedofilia?

Utile precisare che il termine non era solo legato all’età biologica. Spesso infatti la famiglia del giovane, poteva decidere di procrastinare la data di ingresso nel mondo degli adulti. In certi casi, i ragazzi stessi decidevano di rimanere nella condizione di wakashū a vita, accanto al loro mentore, una sorta di insegnante di vita e di sessualità. Cosa che oggi fa inorridire e gridare alla pedofilia. 

Chi erano gli amanti del wakashū?

Spesso, il maestro (nenja)- amante era un samurai. Con lui stabiliva, non solo un rapporto sessuale, ma ne diveniva discepolo (chigo), imparando così i valori di lealtà e rispetto caratteristici del bushidō. Questo rapporto prendeva il nome di wakashūdō. 

Talora, il wakashū era l’amante-discepolo di un monaco buddista. In questo caso, il bambino veniva trasferito in un monastero all’età di cinque anni. Il suo percorso “didattico” era l’espressione di un amore naturale (ergo sessuale) e trascendentale, inteso quale forma di venerazione del buddha.

La formazione prevedeva l’insegnamento della  danza, il canto, lo studio dello shamisen (antico strumento musicale), la composizione di poesie e i segreti dell’intrattenimento erotico. Diventando adulto, il legame con il monaco si scioglieva.

Identikit di un vero wakashū

Diversamente dagli uomini che avevano la testa totalmente pelata, i wakashū avevano una parziale rasatura alla sommita del capo (maegami) e lunghi riccioli ai lati. 

Indossavano poi il wakiake, un kimono colorato con maniche lunghe (fino a 107 cm) e fluide, utilizzato soprattuto dalle giovani donne non sposate, quale emblema della purezza e giovinezza. 

Il wakashū nell’arte

Nell’arte, sono innumerevoli le raffigurazioni del  wakashū. Esempi sono le xilografie ukiyo-e, “immagini di un mondo fluttuante” e lo shunga: disegni tra l’erotico e il pornografico. Esse ritraggono sia giovani intenti in passatempi apparentemente innocenti (come suonare strumenti o fare una passeggiata), sia impegnati in atti sessuali con uomini e donne.

Anche la letteratura chigo monogatari tratta di vicende che hanno come protagonisti i wakashū.

Infine, il teatro giapponese kabuki è ricco di rappresentazioni con personaggi wakashū o con wakashū in prima persona che recitavano le parti femminili delle opere. 

Questo perché una legge “anti prostituzione” del 1629 aveva vietato alle donne la recitazione.

Per gli stessi motivi, nel 1652 il teatro fu vietato anche ai wakashū. Di conseguenza, le parti femminili finirono per essere interpretate esclusivamente da uomini adulti, gli onnagata, i quali però finirono a loro volta per praticare la prostituzione.

La fine del wakashū

Il wakashū cessò di esistere nella seconda metà del XIX secolo. 

A segnarne il tramonto, la restaurazione Meiji (1868) e l’inizio dell’influenza occidentale e cristiana. Le norme e i valori occidentali imposero infatti una rigorosa dicotomia maschio-femmina. Il nuovo stato-nazione giapponese stabilì il ruolo di un individuo nella società in base al sesso fisiologico “standard”, eliminando così il “terzo genere” da ciò che era lecito o ammissibile. 

Nel 1871, i wakashū dovettero rasarsi i capelli, adeguandosi alle regole del governo. Due anni dopo fu proibito loro l’utilizzo del kimono.

Infine, l’età venne categorizzata con definizioni legali di categorie “bambino”, “giovane”, “adulto”.

Ad ogni modo, nonostante le restrizioni, il fenomeno non è definitivamente scomparso.

A rimpiazzarlo, seppure solo su carta, sono gli shonen, dei manga rivolti agli adolescenti (di sesso maschile) che apprezzano individui dello stesso sesso.

Foto di pubblico dominio, fonte: en.wikipedia.org

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