Web reputation: prevale il diritto all’informazione o il diritto all’oblìo?

Con l’uso indiscriminato dei social media, sempre più numerose sono le vittime della diffamazione a mezzo internet.

La semplice riservatezza di un tempo, ampiamente superata dall’uso generalizzato dei social network, ha radicalmente modificato i comportamenti delle persone; già verso la metà degli anni novanta, il concetto di “privacy” come estensione del diritto di essere rispettati nello svolgimento della vita privata e soprattutto nell’ulteriore e ancor più delicato diritto di essere dimenticati qualora la propria immagine sia circolata per fatti indipendenti dalla nostra volontà, aveva raggiunto un livello di sofisticazione tale da generare la necessità di chiedere il consenso al trattamento dei dati personali.

Da allora, la normativa sulla protezione dei dati personali si è evoluta al punto di dar luogo all’emanazione ed applicazione concreta di una importante direttiva comunitaria denominata General Data Protecion Regulation (GDPR), attuata in Italia con il decreto legislativo n.51 del 2018, destinata al preciso scopo di proteggere le persone fisiche riguardo il trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti proprio al fine di prevenire il rischio di violazioni in questo delicato settore e di intervenire in maniera efficace in caso di commissione di atti lesivi.

In particolare, grazie a questa penetrante e innovativa firma di tutela legale, la persona interessata viene garantita, soprattutto in ambito giudiziario, sulla conservazione dei propri dati personali, con autorizzazione a chiedere le necessarie rettifiche, cancellazioni o limitazioni degli stessi dati che lo riguardano, specialmente quelli denominati “sensibili”, concernenti gli aspetti più intimi della persona (come la salute, l’orientamento sessuale o il credo religioso).

Ciononostante, i social network allargano a macchia d’olio e sempre di più ogni notizia, dalla più banale alla più seria, creando l’ulteriore disfunzione delle fake news, sulle quali abbiamo già pubblicato un pezzo tempo fa.

Ecco perché in molti, rispetto al passato, chiedono consulenza legale per ottenere la cancellazione di notizie personali dal web perché considerate riservate o poco lusinghiere; oltretutto, la spiacevole “scoperta” di un sé “privato” (o che almeno credeva di essere tale) è spesso del tutto incidentale.

Le conseguenze della diffusione incontrollata e talora incontrollabile di notizie riservate personalissime per effetto del necessario consenso da “cliccare” al trattamento dei dati per accedere al servizio on line, oltre ad essere ulteriormente oggetto di commercio ancor più incontrollato dei nostri dati, lasciano spazio sconfinato a gravi violazioni nell’ambito della sfera privata dell’utente che, non di rado, danno luogo ad aperture di crisi coniugali, rotture di amicizie e in casi più “pesanti” anche rinunce forzate a candidature politico-amministrative.

Al riguardo, proprio in questi giorni, un caso di cronaca francese vede infatti protagonista Benjamin Griveaux che, spiegando di aver deciso di ritirare la sua candidatura per non voler esporre sé stesso e la propria famiglia ad altri attacchi da web, “…dal momento che tutto è permesso“, aveva visto pubblicare su un sito internet denominato Pornopolitique e poi sui social media, alcuni video di contenuto sessuale accompagnati da messaggi indirizzati a una donna e che sarebbero stati inviati proprio da lui.

Al di là di ogni possibile considerazione personale sul caso, quando questo sfortunato signore parla di “attacco ignobile” alla propria vita privata”, ha perfettamente ragione perché, in termini di web reputation, è stato letteralmente distrutto.

Né, a breve, il sentimento dell’oblìo potrà facilmente farsi strada in suo favore, trattandosi di fatti intimi di contenuto familiare sulla cui implicita scabrosità si registra lunga memoria nell’opinione pubblica; il malcapitato potrà soltanto recuperare sul risarcimento del danno a livello economico a capo dell’autore della lesione, tale Piotr Pavlenski, ben arrestato per “violazione dell’intimità della vita privata” e “diffusione senza accordo di immagini a carattere sessuale” dei video pubblicati su detto sito.

Orbene, la disciplina a sostegno della materia è complessa e molto difficile da coordinare in ragione del fatto che gli importanti interessi in gioco sono svariati e talora anche in conflitto, se pur dotati di norme chiare ma di difficile applicabilità.

Brevemente, la libertà di stampa che è tutelata dalla Costituzione, si esprime con l’art.21, ove al primo comma è stabilito che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Ma le notizie e i ritratti altrui pubblicabili liberamente devono ubbidire al principio dell’interesse sociale alla conoscenza dei fatti narrati da parte della collettività, nei limiti consentiti dalla legge e dalla prassi dei casi decisi sulla materia, nel rispetto generale dell’onore (inteso come rispettabilità), del decoro (inteso come valore conforme al buon costume) e della reputazione (intesa come l’apprezzamento che ci si aspetta di ricevere dagli altri) della persona che sono le componenti essenziali dell’immagine tutelata preventivamente dall’art.10 del codice civile.

L’identità personale di ogni persona, che si articola attraverso la libera scelta di apparire secondo le proprie insindacabili intenzioni, va sempre rispettata ed in ogni sua forma.

Detto principio si rafforza e si alleggerisce a seconda dei casi quando la persona (normalmente famosa) diventa oggetto di critica o di satira; difatti, gli effetti della diffusione di notizie e di ritratti relativi a personaggi noti al pubblico subiscono una compressione legislativa in fatto di privacy.

Non vi è infatti necessità di chiedere il consenso a persone note (di regola artisti e politici) ogniqualvolta la stampa si occupa di loro, come previsto dall’art.96 della legge n.644 del 1941 che disciplina il diritto d’autore che, in qualche modo, ha voluto recepire il detto popolare “non soltanto onori ma anche oneri”.

Ma cosa accade quando invece, per ragioni del tutto casuali o fortuite, spesso tragiche, una persona diviene famosa per fatti indipendenti dalla propria volontà?

In tal caso, l’esercizio del diritto di cronaca informativa impone il sopradetto “interesse sociale alla conoscenza dei fatti”, con automatica lesione, spesso grave ed irreparabile, della riservatezza personale di chi si trova coinvolto in frangenti di rilevanza pubblica.

Se poi si tratta di delitti a sfondo sessuale di cui troppo spesso si ha notizia, la pessima abitudine di celebrare processi giudiziari in tivù, oltre ad ostacolare le indagini nell’accertamento della verità processuale, genera pericolose alterazioni delle opinioni soprattutto nei soggetti deboli come i minorenni che potrebbero facilmente travisare il senso delle affermazioni rese in danno agli indagati, che poi – anche se  poi dichiarati innocenti nei processi giudiziari – restano indelebilmente fissati nei ricordi del momento divulgativo, anche nostro malgrado.

E qui nasce il diritto all’oblìo in favore di chi è stato perseguitato a mezzo stampa e (soprattutto) a mezzo internet (web reputation) dal terribile sospetto collettivo di essere quel che non si è, o se lo si è stati, di potersi reinserire nuovamente nella società civile per aver scontato una pena o perché, ancora, si è beneficiato della revisione del processo.

Ecco perché il diritto di essere dimenticati e lasciati in pace senza mai tornare sulla “vecchia notizia” superata, senza neanche rievocarla in alcun mezzo disponibile rappresenta un atto di civiltà e di rispetto verso chi ha vissuto un passato difficile e doloroso.

Anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n.19681/2019) ha confermato questo principio che si fonda sulla necessità di non ferire, né ledere la dignità di chi è stato protagonista involontario di fatti il cui interesse pubblico, dopo anni, è ormai nullo.

E per chiudere “in bellezza”, il noto cantautore Antonello Venditti, che nel 2000 venne definito da alcuni giornalisti come un personaggio “antipatico e scorbutico” a seguito di un’intervista poi uscita in un servizio televisivo su Rai Uno ne La vita in diretta, ha vittoriosamente ottenuto (dopo ben diciotto anni di cause!) il riconoscimento del diritto all’oblìo a seguito della offensiva riproposizione dello stesso servizio in tivù dopo cinque anni,  inserito – appunto – nella classifica televisiva dei personaggi più “antipatici e scorbutici” del mondo dello spettacolo.

Ben correttamente, come aveva infatti stabilito in precedenza nel 2018 la Corte di Cassazione (ordinanza n.6919 del 2018), anche la satira, al pari della cronaca,  ha “una data di scadenza”.

Fonte foto: italiaoggi.it

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