Dopo il successo de “La grande bellezza” Sorrentino torna sul grande schermo con un nuovo lavoro, o piuttosto, con un capolavoro, perché “Youth – La giovinezza”, specie se paragonato al film precedente, non può che essere considerato tale. Senza nulla togliere al film vincitore del premio Oscar, c’è da dire che quest’ultimo, nel paragone con “Youth – La giovinezza”, va a perdere decisamente punti.
Questo perché “La grande bellezza” punta tutto sull’estetica, e ci riesce, ovviamente, a scapito però del contenuto. La trama, infatti, sembra non scorrere, non evolversi, rimanere sempre come sospesa, fino a lasciare lo spettatore con un gran senso di vuoto. La rivisitazione, a tratti maldestra, delle tematiche già affrontate da Fellini ne “La dolce vita”, resta, in un certo senso, fine a se stessa, senza lasciare spazio a profonde riflessioni o forti emozioni.
La vuotezza della vita condotta da Jep Gambardella e dai frequentatori dei salotti letterari di Roma è speculare alla vuotezza di contenuti del film stesso. Dietro la pellicola vincitrice del premio Oscar ci sono uno studio dell’immagine ed una fotografia esemplari, delle inquadrature mozza fiato e delle scelte di regia che portano alla composizione di scene di una bellezza stravolgente; ma tutto questo è riscontrabile in egual misura nel nuovo film (l’accuratezza estetica è un tratto distintivo dei prodotti di Sorrentino), mentre per quanto riguarda la trama, il tema centrale de “La grande bellezza” non ha nulla a che vedere con quello, decisamente più profondo, trattato in Youth. E allora tra i due film, tralasciando la qualità estetica, tratto in cui i due prodotti giungono ad equipararsi, Youth trionfa in quanto a qualità di contenuto.
Il titolo scelto per l’opera fa da contrasto con quello che è il tema reale del film, creando da subito una forte opposizione tra ciò che è giovane e ciò che è vecchio, tra bellezza e decadenza, tra utilità ed inutilità, tra vita e morte. La vecchiaia viene presentata in tutti i suoi aspetti più negativi, specialmente attraverso il confronto tra la fisicità di donne e uomini molto giovani e la corporeità degli anziani che si trovano in vacanza nell’hotel svizzero in cui il film è ambientato. Forte e significativo anche lo scontro generazionale tra i due protagonisti Fred Ballinger e Mick Boyle (un compositore e direttore d’orchestra il primo ed uno sceneggiatore il secondo, uniti da una forte amicizia) e i loro figli, divenuti moglie e marito ma giunti alla fine della loro relazione a causa dell’innamoramento del figlio di Mick per una giovane pop star.
Attraverso le figure dei due personaggi principali si viene trasportati in un’atmosfera di malinconia per ciò che è stato, piena di rimpianti e ricordi sfumati, ma ci si imbatte anche nella forte emotività e nella fragilità, specie quando si entra in contatto con i sogni e le aspirazioni di chi sente, nonostante l’età, di avere ancora qualcosa da dire, da trasmettere, come Mick che concentra tutte le sue energie nella composizione del suo “film-testamento”, quello che lui sperava sarebbe stato la sua ultima grande opera cinematografica ma che, non potendo essere realizzato, lo porterà a percepire la sua esistenza come inutile, spingendolo al suicidio.
Al contrario di Mick, Fred, che era sempre rimasto silente nella sua apparente apatia, senza mostrare aspirazioni e, anzi, rifiutando ripetutamente la proposta della regina Elisabetta di eseguire le sue composizioni in un concerto a Buckingham Palace in occasione del compleanno del principe Filippo, dopo la tragica morte dell’amico che, prima di togliersi la vita lancia a Fred il chiaro messaggio di vivere anziché sopravvivere, troverà nuovamente il contatto con la vita, la gioia di fare e condividere, ritrovando se stesso e, in sé, una rinnovata giovinezza.
La scena finale, con Fred che dirige l’orchestra a Buckingham Palace, eseguendo nuovamente le sue melodie al cospetto delle figure più di spicco della società inglese, rappresenta l’apice della tensione emotiva del film: Fred ha finalmente superato il suo blocco vitale, uscendo dal suo stato di perenne apatia riscopre le emozioni che la vita può sempre offrire, capisce che non è mai troppo tardi per vivere.
di Noemi Cinti
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